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Partito e potere politico

Mansoor Hekmat

Discorso al Secondo Congresso del Partito Comunista Operaio d’Iran
15 Aprile 1998

(trascrizione del discorso)[1][2]


I compagni nutrono indubbiamente aspettative differenti rispetto a questo dibattito. La mia argomentazione tuttavia non riguarda un processo passo dopo passo di lanciare uova alle forze oppressive del regime fino al momento dell’insurrezione [armata][i] . Non intendo spiegare questi diversi stadi. Voglio discutere le mie osservazioni e opinioni personali sulle questioni rilevanti per il processo di rafforzamento del Comunismo operaio e la sua conquista del potere politico; voglio discutere i fattori coinvolti.

Inizio con alcune osservazioni che potrebbero dare l’impressione che ci poniamo domande blasfeme – blasfeme perché, in apparenza, la teoria respinge tali questioni.

Credo tuttavia che l’esame della teoria del comunismo e del potere politico dimostrerà che tali domande non creano incertezza. Ho queste domande e vorrei che anche voi rifletteste su di esse.

Il primo punto relativo al potere politico è il seguente:

Potere del partito o della classe? Questa è la prima domanda che chiederanno tutti coloro che pensano all’esito di questa discussione. Ci chiederanno perché parliamo di partito e potere politico.

Diranno che secondo la teoria comunista noi dovremmo parlare di parlare di classe [contrapposta al partito] e potere politico. “I comunisti non dovrebbero parlare di conquista del potere tramite il loro partito. Di conseguenza [secondo loro] discutere di partito e potere politico è contrario alla teoria comunista. Diranno che la teoria afferma che la classe lavoratrice prende il potere dalla borghesia e si organizza come classe dominante; [quindi] “non è chiaro quale sia qui la rilevanza del partito e perché parliate di partito e potere politico”.

Il divieto di parlare di partito e potere politico riguarda solo noi. Siamo solo noi comunisti ad essere ammoniti contro il prendere il potere, quando ne parliamo: “State attenti!” “Voi, sulla base delle vostre stesse teorie, non dovete mirare al potere come partito; è la classe lavoratrice che deve avvicinarsi al potere”. Troviamo questa posizione sia dentro il movimento socialista che fuori di esso; siamo avvertiti. Questo è uno dei “nostri divieti”.

Se cinque nazionalisti si mettono insieme e creano un nuovo partito, parlano immediatamente di prendere il potere, e nessuno li critica. Nessuno! Si direbbe che è stato fondato un nuovo partito nazionalista, che il sig. X è il suo leader e che mirano al potere. Presenterebbero addirittura i loro aspiranti al posto di presidente e primo ministro. I media li intervisterebbero. Ma se noi affermiamo che il Partito comunista operaio mira al potere politico, i primi ad opporsi a noi sarebbero una di queste organizzazioni di sinistra, come la “Unione comunista”. Direbbero: “Cosa? È la classe che deve prendere il potere; non vedete il fenomeno dell’Unione Sovietica?”.

Mi fa venire in mente Groucho Marx, il comico americano, che diceva: “Non voglio far parte di nessun club che mi accetti quale membro”. Il modo di pensare di quelli che ci sono contro è simile a questo. Dicono di essere pronti a vivere in una società sotto un governo borghese liberal, sotto i conservatori; ma non sono disposti a vivere sotto un governo fatto di persone come loro. Questo è un punto e un aspetto del dibattito teorico che andrebbe affrontato. Abbiamo il diritto di parlare di questa questione nel modo in cui lo stiamo facendo oggi. Poi seguiamo la nostra vecchia discussione sulla rivoluzione dei lavoratori, sulla conquista del potere e l’insurrezione armata.

Mehdi Khan Baba Tehrani[ii] ha detto in un’intervista alla rivista Nimrouz[iii] che il problema con l’opposizione è che mira al potere! Non capisco. Cos’altro dovrebbe fare l’opposizione? A suo parere il problema non è che l’opposizione abbia idee positive o negative sulla “società civile”[iv]; il problema riguardo l’opposizione iraniana sarebbe che pensa al potere!

Il primo punto “blasfemo” che intendo affermare è che il partito guarda al potere politico e vuole prendere il potere. Ciò non solo non contraddice il concetto della presa del potere da parte della classe lavoratrice, ma questo è essenzialmente l’unico modo di prendere il potere per la classe lavoratrice, ossia prendere il potere mediante il suo partito. In effetti il fatto che la presa del potere da parte del partito possa non risultare nella presa del potere da parte della classe dipende dalle caratteristiche del partito. Sto parlando del Partito comunista operaio.

Un altro punto che sembrerebbe e si ritiene che la teoria ci abbia trasmesso è che il processo di conquista del potere politico sia come piantare un albero; ossia cioè che i comunisti iniziano il lavoro nella classe lavoratrice: propaganda, agitazione, organizzazione; ed estendono la loro influenza nella classe. Gradualmente organizzano la classe. Membri e circoli della classe diventano comunisti. Un passo dopo l’altro questa forza e influenza aumenteranno. Conquistano forza per agire, per protestare e in questo processo la relazione tra il partito e la classe diventerà così forte che permetterà al partito di portare la classe all’insurrezione, di organizzare la rivoluzione e prendere il potere. Questa è la teoria della sinistra e il modo in cui generalmente è vista l’attività comunista.

E qui voglio fare un’altra domanda blasfema: e se questo processo impiega più di 20 anni? Cominciamo a fare lavoro di organizzazione tra i lavoratori, ad esempio organizziamo lavoratori di 20-22 anni, dopo 10-15 anni alcuni di loro avranno famiglia e figli, alcuni si ammaleranno, e alcuni si ritireranno dal lavoro politico. Cosa ci aspetta alla fine di questo processo? Lavoriamo e di conseguenza dei lavoratori diventano comunisti ma poi vanno in pensione e si ritirano dalla politica.

La formazione e organizzazione socialista e comunista dei lavoratori, i rapporti tra partito e classe si trasmettono da una generazione all’altra per cui lavoriamo tra i lavoratori degli anni ’60 e ’70 in Iran e speriamo di prendere il potere con i lavoratori degli anni ’90 e 2000? È possibile che un partito comunista lavori per 50 anni tra i lavoratori e conquisti il potere dopo 50 anni?

Per me questa prospettiva non è realizzabile, perché l’eredità organizzativa, l’impegno ideologico e il rapporto tra partito e classe non si possono facilmente tramandare da una generazione all’altra. Ne siamo testimoni. Si lavora e ad esempio si conquista influenza tra il 20% dei lavoratori, ma dopo un po’ essi perdono interesse. Per quanto tempo lo si può fare? Noi continuiamo la nostra vita politica, mentre i lavoratori con cui lavoriamo, abbandonano. Lo vediamo anche nella nostra esperienza politica.

Questo è il partito che fu partecipe del Primo Maggio a Sanandaj[v]; che aveva contatti con diversi circoli di lavoratori che ascoltavano la nostra radio, che copiavano e distribuivano programmi radio, che viaggiavano all’estero [per incontrarci]. Ma ora, ci chiediamo e altri ci chiedono, cosa ne è dell’influenza che avevamo [nella classe]? È interessante che abbiamo conquistato quell’influenza durante e dopo la sanguinosa repressione del giugno 1981. Avevamo una base e una compagine operaia; ma non l’abbiamo più. Cos’è successo a quei lavoratori? È evidente: hanno perso interesse. Non tutti aspettano che la rivoluzione li faccia salire a bordo. Dopo un po’ possono prendere altre decisioni riguardo la propria vita. Probabilmente giungono alla conclusione che questo lavoro è inutile. Quei lavoratori attivisti o quei circoli di lavoratori che lavoravano con noi, sentiamo che sono impegnati in altre attività.

Questa influenza politica, questa forza del partito non si trasmettono da una generazione all’altra. L’influenza dei partiti politici tra i lavoratori non si conserva. Un partito conquista influenza tra i lavoratori e, a mio parere, o usa questa influenza per prendere il potere, o dovrà ricominciare tutto daccapo. [La questione è] utilizzi la tua influenza per conquistare il potere politico, o no? Questa è stata l’esperienza politica dei partiti comunisti europei. È stata l’esperienza di tutti i partiti di sinistra del mondo.

I partiti che conquistano il potere tramite elezioni, nei paesi democratici partecipano alle elezioni ogni 4 anni e la gente li vota; di solito la sinistra non ottiene mai la maggioranza. Se studiate le storie della sinistra e della sinistra radicale nei sistemi parlamentari, vi rendete conto che in alcune occasioni i trotzkisti sono arrivati vicino e uno di loro è stato eletto in amministrazioni locali. Ma dopo 20 anni in paesi come l’Inghilterra e la Francia non sono neppure riusciti a farsi eleggere nelle elezioni locali. Questo è il bilancio dei partiti radicali di sinistra per quanto riguarda il potere politico nei sistemi parlamentari. E quando il compagno X è eletto in un governo locale, la questione del potere politico viene completamente dimenticata.

Dobbiamo porci questa domanda: è possibile ottenere qualcosa con questa teoria, ossia la teoria dell’evoluzione graduale, dell’andare dal punto A al punto B, da zero a cento, l’essere preparati e pronti per l’insurrezione? E alla fine di questo processo c’è l’insurrezione comunista?

Un’altra domanda e un altro punto: possiamo prendere il potere in qualunque momento vogliamo e ne siamo capaci, oppure la società deve passare per determinati sviluppi?

Supponiamo che la nostra influenza tra i lavoratori sia aumentata e che il 30-40% dei lavoratori abbia aderito al nostro partito, come il Partito Comunista Italiano o Francese negli anni ’70. Sarete pronti a prendere il potere politico quando raggiungerete questo punto? La questione sarà risolta nel rapporto tra il partito e la classe? La rivoluzione avrà luogo in qualsiasi momento il partito abbia preparato la classe per essa?

La rivoluzione è un fenomeno sociale. Tuttavia nella visione organizzativa e intellettuale della sinistra si assume che quando saranno pronti, passeranno alla presa del potere. Mentre la teoria marxista afferma che perché si possa intervenire nel cambiamento della società, occorre che la società entri in un periodo di sviluppi rivoluzionari. In una società che non vuole la rivoluzione, i lavoratori che si muovono per la presa del potere saranno schiacciati, indipendentemente dal livello della loro organizzazione. Non ci si può alzare un mattino e decidere che si è pronti per la presa del potere; la società non lo permetterà.

L’agitazione rivoluzionaria, il sommovimento politico, l’esistenza di una contraddizione nel cuore della società che trascina diverse classi nella lotta le une contro le altre e quei periodi particolari in cui è possibile prendere il potere sono fattori importanti che influenzano il dibattito su partito e potere politico. Possiamo prendere il potere in qualsiasi momento? Se pensate di essere pronti in termini di organizzazione, numeri, preparazione e forza militare, siete in grado di prendere il potere? Si può prendere il potere in qualsiasi momento, o si può puntare a prenderlo solo in presenza di certe condizioni?

Queste le mie risposte alle domande poste:

penso che sia rozza la teoria che considera sempre il partito senza la classe e la classe senza il partito. Quando parla del partito, è un’organizzazione di rivoluzionari senza radici, un’associazione rivoluzionaria estranea alla classe e incapace di mettere in moto qualsiasi azione nella classe. Abbiamo già discusso questa questione nei nostri scritti. Quando parla di classe, la classe è priva di organizzazione di partito; ci sono solo lavoratori in sciopero o in presidio; ed essi prendono collettivamente il potere in questa forma. Se essi assumono una forma organizzativa o se un’organizzazione politica arriva ad esercitare influenza tra di essi, la loro rivoluzione è rovinata.

Abbiamo introdotto questo punto, che la caratteristica operaia di un partito comunista è nel suo programma operaio, senza che necessariamente tutti i lavoratori o la maggioranza di essi sia con il partito. Nei momenti storici decisivi un partito operaio, anche se minoranza tra i lavoratori, può dare forma al movimento della maggioranza dei lavoratori, insorgere, prendere il potere e tenerlo; dopotutto è in questo modo che [il partito] può diventare maggioranza. Penso che sia realizzabile; deve esserlo. Se un professore che ha studiato il socialismo ci dice che ciò non corrisponde con quello che ha studiato; o se esponenti di sinistra che sembra abbiano imparato una lezione dallo stalinismo, ci dicono che siamo una minoranza speciale tra i lavoratori e non abbiamo alcun diritto di andare al potere, rispondo che la nostra teoria è sempre stata diversa.

Io rispondo che in assenza di un movimento rivoluzionario non potremo mai attrarre la maggioranza della classe lavoratrice; MAI. La minoranza rivoluzionaria e comunista della classe deve compiere determinati passi nella lotta sociale perché la maggioranza della classe passi dalla sua parte. Se non si è radicati da nessuna parte, non c’è motivo perché qualcuno si metta con noi. Nessuno ha motivo di aderire a un partito che non ha un programma speciale per un’impresa importante. Le masse si mettono con persone che hanno un programma speciale per cambiare la società. Quando si mette all’ordine del giorno della classe lavoratrice l’insurrezione armata ma non si è capaci di organizzarla, la massa della classe lavoratrice sostiene un partito riformista che può almeno realizzare un aumento dei salari. Il rapporto di partito e classe con rivoluzione e riforme è un rapporto speciale e del tutto umano: il miglioramento stabile delle condizioni di vita.

Se i lavoratori si rendono conto che non si ha intenzione e non si è oggettivamente capaci di organizzare un movimento che porti a una conquista, voteranno per il partito borghese di sinistra che può almeno opporsi ai conservatori, difendere il salario minimo di sussistenza, o mantenere gratuita l’assistenza sanitaria.

Questa è la mia risposta a questa discussione:

un partito operaio che è una minoranza, ma ha una forza reale e significativa nella classe, che gli dà la possibilità di un’azione rivoluzionaria e radicale nella società, può attrarre il resto della classe attraverso quest’azione radicale e rivoluzionaria. Questo è il meccanismo con cui il partito si può avvicinare al potere politico nel rapporto con la classe lavoratrice. Il partito non è un catalizzatore nel quale la classe vede il proprio metabolismo interno. Allo stesso modo a mio parere è la stessa minoranza e il partito che deve svolgere un ruolo vitale nell’organizzazione del potere, subito dopo averlo conquistato.

Per questo anche noi, come i partiti borghesi, agiremo per prendere il potere; ossia anche noi vogliamo prendere il potere. Quando un partito borghese dice di voler prendere il potere, gli chiediamo se in quanto partito della borghesia, ha dalla sua parte tutta la borghesia? Gli chiediamo di provare la sua influenza nella borghesia? Risponderebbero che organizzano le elezioni per verificare se hanno o meno la necessaria influenza. Le elezioni sono il processo in cui essi dimostrano la loro influenza e forza nella propria classe.

Se le elezioni non sono il nostro programma e la nostra via al potere, diremo che organizziamo una rivoluzione e quindi scopriremo se i lavoratori ci appoggiano o meno. Anche noi proporremo un processo sociale. Loro replicheranno senz’altro che non accettano la nostra rivoluzione, noi a nostra volta risponderemo che non accettiamo le loro elezioni. Quello che voglio dire è che entrambe queste posizioni hanno lo stesso peso.

Dopo il congresso, quando in un’intervista affermeremo che vogliamo prendere il potere politico, il resto della sinistra griderà: “agiscono come una setta; vogliono concentrare il potere nelle loro mani”. Io replicherei: “cosa volete? Siete come le vecchie auto tedesche col motore posteriore e volete spingere in avanti la classe lavoratrice? Qual è la vostra ragion d’essere?”.

A mio parere il rapporto tra il partito e la classe ha un andamento ciclico; da debole a forte viceversa. Non cresce gradualmente. Non si conserva. Come partito politico abbiamo una data possibilità di preparare la classe lavoratrice a dare l’assalto al potere. Se non approfittiamo di questa opportunità, dobbiamo ricominciare tutto daccapo. Il potere non si mette da parte. Potrebbe rimanere nella memoria storica dei lavoratori e della società, o nell’influenza all’interno della sinistra; ma l’influenza politica tra i lavoratori non sarà conservata. I lavoratori sono con te per un certo periodo, e poi ti lasciano. Se la rivoluzione è sconfitta, i lavoratori abbandoneranno in massa le tue fila. Anch’io me ne andrei. Chiunque con il senso comune lascerà un partito comunista dopo una rivoluzione sconfitta. La vita futura di un partito comunista in tali condizioni dipende dal suo programma e dal piano che guida le sue azioni; tuttavia chiunque abbia un certo distacco perderà interesse e abbandonerà.

La gente vuole vivere felicemente, agiatamente e socializzare; per la propria vita non vuole seguire uno scenario strampalato. Noi siamo un gruppo di persone che, per ragioni differenti, abbiamo scelto una prospettiva diversa per le nostre vite; ma la massa della popolazione no. Per questo c’è un periodo in cui lavoriamo attivamente, in cui o abbiamo successo oppure dobbiamo ricominciare tutto daccapo.

La presa del potere dipende dal grado della nostra influenza nella classe lavoratrice, ossia quando raggiungiamo un certo livello, se vogliamo possiamo prendere il potere? La mia risposta è: no. Può prendere il potere solo quel partito che sa riconoscere il momento in cui il potere è vacillante e può essere afferrato. Se non siamo capaci di riconoscere questi momenti, non saremo mai in grado di prendere il potere, anche se avremo un’ampia maggioranza dei lavoratori dalla nostra parte.

Ci sono diversi casi nella storia dei partiti di sinistra che hanno avuto dalla loro parte la simpatia di tutti i lavoratori: se avessero organizzato l’insurrezione, avrebbero vinto. Non lo hanno fatto, tutti i lavoratori che erano con loro hanno abbandonato il campo e i loro leader sono stati uccisi. Ci sono casi di partiti di sinistra a cui è poi stato rimproverato di non aver provato a prendere il potere quando la questione del potere era aperta, considerando la loro influenza e forza.

Si potrebbe dire che i lavoratori non lascerebbero le nostre file in tali condizioni. Ma occorre considerare che la borghesia non se ne starà con le mani in mano; farà propaganda, proporrà riforme e cercherà di moderare la società. Arriverà a proibire i picchetti, per non parlare delle attività tra i lavoratori per la presa del potere.

Considerando tali fattori, formulerei la questione come segue:

il Partito Comunista Operaio sarà in grado di prendere il potere se avrà dalla sua una parte significativa della classe lavoratrice, una minoranza ma una minoranza influente, forte e attiva; se è un partito che ha un forte rapporto con la classe lavoratrice, un programma rivoluzionario e ha acquisito un grado di influenza nella sfera sociale e politica che l’abbia fatto diventare uno dei maggiori attori politici, e se è in grado di riconoscere la situazione quando si apre la questione del potere politico e diventa l’oggetto della lotta sociale. Altrimenti non può conquistare il potere politico.

Non è un destino inevitabile che con queste affermazioni blasfeme noi prendiamo il potere. E proprio l’incertezza del nostro destino lo rende interessante. Dipende dalle nostre attività, della nostra capacità di giudizio e dalla fondatezza della nostra decisione e dalla forza di volontà in quei periodi in cui si apre a noi la possibilità di prendere il potere. Ho già affermato che il socialismo non è inevitabile.

Sfortunatamente situazioni di questo tipo si presentano una o due volte nel corso di una vita. Dobbiamo scrivere il nostro programma ed elaborare i nostri piani per tali situazioni; il processo evolutivo della società è inevitabile. Quest’idea che dopo di noi i lavoratori, o delle persone in nome nostro alla fine prenderanno il potere, non è di consolazione per me o questo particolare partito. Questo partito deve affermare che lavora per prendere il potere per noi e i lavoratori nel nostro tempo.

Quindi la presa del potere politico è un lavoro pratico. Direi che il potere politico include quanto segue:

    1. Di essere trasformati in una tradizione politica viva nella società e nella classe lavoratrice. Ed è questa tradizione che non perirà tra gli alti e bassi. Occorre riuscire a diventare una tradizione politica; a trasformare il Comunismo operaio in una forza sociale attiva; una forza sociale reale che in un’elezione possa conquistare il 10% o il 30% dei voti. Ci si impegna in questa attività, indipendentemente dal fatto che ci sia o meno una situazione rivoluzionaria; e indipendentemente dagli alti e bassi [politici]. In questo modo si può garantire la continuazione di questa tradizione.

    2. Di conoscere come partito la situazione e le condizioni per la presa del potere e lavorare per crearne i prerequisiti. Allora si avrà la possibilità di prendere il potere e diventare il partito della maggioranza della società. È questo il meccanismo con cui [il partito] può diventare il partito della maggioranza, non il contrario, ossia di diventare il partito della maggioranza e poi prendere il potere politico.

Operare per la presa del potere da parte della classe rivoluzionaria è la condizione necessaria per diventare maggioranza nella società, non il contrario; questo è impossibile. Questo è il quadro che, da qualsiasi angolazione lo si guardi, mostra le nostre caratteristiche e il processo con cui noi diveniamo maggioranza. Non l’evoluzione storica graduale e non alla fine di un processo di agitazione e propaganda per attrarre la maggioranza della classe, che finora è sempre stata la posizione della sinistra.

Ho cercato di parlare delle precondizioni necessarie per diventare una tradizione politica viva nella società. Ho accennato a certe tesi per un partito particolare e una tendenza comunista particolare; non ho discusso di partiti comunisti in generale. Le condizioni necessarie sono le seguenti:

La prima condizione per la nostra presenza nella lotta per il potere politico è che diventiamo i portabandiera dell’estrema sinistra, non i secondi o i terzi. La bandiera dell’estrema sinistra e della sinistra operaia nella società deve sempre essere nelle nostre mani. Dobbiamo essere conosciuti come i rappresentanti della futura insurrezione, come “lo spettro” che volteggia sopra la società. Dovremmo essere quelli che tutti i difensori dello status quo vogliono condannare. Dev’essere questo partito che alza la bandiera della protesta radicale dei lavoratori, la bandiera del marxismo e della critica socialista; non un gruppo della sinistra, ma il rappresentante del Comunismo Operaio. Potremo poi discutere su quanto abbiamo progredito in questa direzione o quanto lontani siamo da questo e a che punto siamo.

Dobbiamo entrare in questo territorio. Perché se la società ci riconosce come l’estrema sinistra, quando decide di passare il potere all’estrema sinistra troviamo la possibilità di prendere il potere. Ma se la società riconosce ad es. il partito Toudeh come estrema sinistra, quando desidera passare il potere all’estrema sinistra lo darà al Toudeh. Se la società associa il marxismo con i Fedayin o la loro tradizione, quando vuole vedere i socialisti al potere, darebbe il potere ai Fedayin.

Dobbiamo essere gli alfieri di rivendicazioni, programma e obiettivi sociali e della critica politica nella società, tali che la gente decida di metterci alla prova; decida di mobilitarsi dietro di noi. Occorre garantire di essere un movimento di questo tipo, altrimenti ce ne sono stati tanti che hanno innalzato l’immagine di Marx e sono giunti ad altri esiti.

Il secondo punto è che dobbiamo essere la parte attiva e visibile dell’opposizione. Ho ricordato all’inizio del mio intervento che dobbiamo muoverci dal margine della politica al centro della società. Dobbiamo essere uno dei pochi attori principali nella lotta per il potere e nella situazione politica della società. La questione del potere politico non riguarda solo il fatto se riusciamo o meno ad andare al governo, ma anche se siamo capaci di raccogliere una forza considerevole nella società, con cui possiamo impegnarci nel processo della presa del potere. Se l’avversario ha un esercito con cui reprime la gente, dobbiamo essere i rappresentanti degli oppressi. Anche se non possiamo prendere tutto il potere, dobbiamo essere una forza nella società borghese che viene presa in considerazione e vista come una “fonte di pericolo”. Occorre essere una forza reale; dobbiamo essere e parlare come componente reale dell’opposizione. Poi parleremo di quanto il WPI[3] si sia avvicinato a questa immagine. Sono contento che ci stiamo avvicinando a entrambe le posizioni.

Il terzo punto è che dobbiamo essere il partito della classe lavoratrice. Succede che alcune tendenze senza radicamento riescano a mettere radici in particolari condizioni e a prendere il potere senza appartenere a nessuna tradizione; tuttavia hanno bisogno di basarsi su una classe sociale e una tradizione esistenti nella società. Nella società le classi sociali ci sono effettivamente. Non si può prendere il potere come “La sporca dozzina” o “Il mucchio selvaggio”. Occorre cercare di prendere il potere in quanto rappresentanti di una classe sociale, una frazione sociale, e con il suo sostegno. Per noi questa classe è la classe lavoratrice e la frazione è il settore socialista e radicale della classe lavoratrice, di cui abbiamo parlato a lungo. Dobbiamo integrarci realmente con questo settore. Si tratta di un aspetto del nostro rapporto con il potere politico, che al momento non è dato. Non abbiamo un rapporto vivo, costruttivo e un sentimento di reciproca appartenenza con il settore radicale, socialista e contestatore della classe lavoratrice iraniana. Questo settore della classe non ha molte possibilità di esprimersi in modo che noi possiamo capire cosa pensa e quale sia la sua inclinazione. La situazione di oppressione l’ha privato di questa possibilità. Tuttavia possiamo concludere oggettivamente che questa è una delle nostre debolezze.

Quarto, dobbiamo dimostrare capacità di direzione. I partiti che si sottomettono alle masse; i partiti che vogliono come si dice “imparare” dalle masse; i partiti che vogliono riflettere le inclinazioni della classe lavoratrice non hanno molte probabilità di realizzare granché. Perché, in condizioni di difficoltà, le inclinazioni generali della classe lavoratrice regrediscono; in condizioni di prosperità le inclinazioni dei lavoratori potrebbero essere alquanto diverse. Se c’ è un grande partito riformista, la classe lavoratrice può tendere a sostenerlo.

Dobbiamo parlare di quello che permette alla classe di procedere da dove si trova ora verso un altro punto. Dobbiamo agevolare questo movimento in modo che i lavoratori possano riconoscere che quello che diciamo è sensato ed è realizzabile. Ciò richiede capacità di guida. Non è questione di convincere, ma un rapporto sociale.

Permettetemi di spiegare un po’ più a fondo i 4 punti citati:

Per quanto riguarda il rapporto con la classe, essere parte della classe non significa solo essere presenti e avere un rapporto testa a testa. Se la classe vede il partito come un movimento che è presente sulla scena, si interesserà ad esso. Quindi parte del rapporto tra la classe e il partito dipende da cosa fa il partito sulla scena politica. Un altro aspetto è il rapporto con i circoli dei lavoratori e la presenza nei circoli dei lavoratori. [E infine] il partito deve anche essere riconosciuto come una tendenza reale nella classe che riflette su questi argomenti. Tutto ciò richiede un certo grado di attivismo politico da parte nostra. L’attivismo che il WPI dimostra all’estero attrae non solo l’opinione pubblica, ma anche i lavoratori; attrae l’attenzione dei lavoratori sui nostri documenti, le nostre personalità, le nostre discussioni e argomenti, e sulla nostra organizzazione. Così, come ho ricordato anche il primo giorno, il nostro lavoro all’interno e all’estero sono collegati e si influenzano l’un l’altro. Possiamo allora riflettere nella nostra discussione sul perché ci impegniamo in queste azioni [all’estero]. Forse i fattori locali non spiegano la necessità o non giustificano le ragioni dell’azione [protesta]. Ma così la gente in Iran troverà come contattarci quando e se vengono all’estero.

Quanto alla questione di diventare gli alfieri della sinistra e del comunismo, non deve essere limitata all’Iran o ai persiani, i curdi o gli arabi. Un partito che è l’alfiere del marxismo non può non essere l’alfiere del marxismo su un piano più internazionale, e almeno uno dei protagonisti dei dibattiti marxisti a livello mondiale. Uno dei nostri limiti è che non siamo presenti in questo campo, indipendentemente dal fatto che il discorso marxista stia perdendo terreno o non sia di moda. Questo è uno dei temi centrali; dobbiamo anche solo iniziare questo lavoro e muoverci in questa direzione affinché i lavoratori siano rassicurati che siamo gli alfieri del marxismo. Ora i gruppi politici hanno riconosciuto questo fatto e alcuni ammettono che noi siamo i marxisti e alcuni stanno cercando di prendere in giro e mettere in discussione il nostro marxismo.

Ci devono essere riviste teoriche e politiche che dimostrano la forza teorica e politica di questa tendenza. Il programma del partito è uno dei nostri punti di forza che gli altri devono discutere e assimilare; altrettanto per le altre nostre tesi marxiste e critiche marxiste su diverse questioni. Ora siamo conosciuti come tendenza anti-religione, tutti dicono che siamo una tendenza a cui non importa niente della religione. Tutti dicono che la nostra critica è radicale. “Dicono che la religione non dovrebbe affatto esistere. Hanno ragione. Loro sono i marxisti. Sono la sinistra”. Una buona volta e per la prima volta nella società abbiamo creato la possibilità che emerga un comunismo che non si sente obbligato a scendere a compromessi con le credenze delle masse e le superstizioni della società. Dicono: “li vedete? Sono contro la religione”. Molti sono attratti nelle nostre file per questo aspetto e per la nostra posizione sulla religione. Sono incoraggiati ad andare e scoprire cos’è il marxismo o cosa dice Marx su questo argomento; ciò vale per la nostra posizione sul velo e sul nazionalismo, la nostra salda opposizione al nazionalismo, che alcuni vedono come un aspetto negativo, sono elementi di forza teorica del partito.

Un’ultima cosa sulla religione. Raah e Kaargar[vi] mi ha inviato 5 domande e mi ha chiesto se avrei risposto; ho risposto di sì. Una delle domande era la seguente: rapporti con gli USA, sì o no? Ho scritto: questa è una domanda molto strana, perché sia la risposta positiva che quella negativa sono basate su delle ipotesi. È come chiedere a Velayat-e faqih[vii]: secondo la legge o al di fuori della legge? Oppure Velayat-e faqih legale o no? Se dite no, significa che accettate Velayat-e faqih [ma non pensate che debba essere basato sulla legge]. Se dite di sì, accettate ugualmente questo concetto. Alla fine dell’intervista ho scritto che eventuali relazioni del regime islamico con gli USA non incontreranno la nostra opposizione. In quanto tendenza socialista, comunista anti-islam, la questione se dei movimenti islamici abbiano o meno relazioni con gli USA non ci riguarda.

Mi sono riferito ai movimenti islamici dalla mia posizione di anti-islamico. Forse questo non è affermato nel nostro programma, ma mi considero un attivista anti-islamico. Voglio sradicare l’Islam. L’Islam politico è una tendenza reale nel XX secolo e so cosa fa agli esseri umani. Sono anti-Islam. Questa è una posizione teorica e non emotiva e non perché sono cresciuto in una famiglia non religiosa. Sono anti-islamico e posso discutere teoricamente perché l’Islam non è più “l’oppio del popolo”. Vorrei lo fosse! (Kourosh Modaresi ha scritto in un articolo su International che non è più l’oppio). Se fosse l’oppio, lo lasceremmo perdere. Nel nostro programma sosteniamo la decriminalizzazione delle droghe e la libertà di farne uso per i tossicomani. Avremmo potuto prendere la stessa posizione nei confronti della religione. L’islam politico è un abietto movimento disumano. Ammazza ed esercita angherie. È una minaccia alla libertà e alla civiltà umana. Ritengo che il centro della civiltà oggi sia in Occidente. Se gli islamici attuano attentati in occidente e devastano le case della gente, le prime vittime sono i lavoratori, che hanno realizzato questo progresso. La borghesia ha avuto sistemi fascisti e non ha problemi al riguardo. Se l’Algeria dichiara che le stragi in corso sono opera degli islamici, tutti vi credono, perché la gente è testimone dalla capacità assassina dell’islam politico.

Voglio dire che queste sono questioni teoriche, purché le contestualizziamo teoricamente. [Ossia, qualcuno scrive sull’islam e] spiega perché non è solo oppio, ma è un movimento islamico del XX secolo con un ruolo particolare da giocare.

Per quanto riguarda il fatto di diventare attivi e la forza più visibile dell’opposizione, occorre citare diversi fattori: dimostrazioni, pubblicazioni, personalità, attività, riunioni, incontri, scioperi, ecc. Si tratta di attività che convincano la gente che noi siamo un partito di opposizione attivo e presente sulla scena. [Dobbiamo] estendere le nostre attività di agitazione, propaganda e organizzazione oltre alle azioni di protesta. Queste sono le condizioni perché il partito diventi una tendenza principale all’interno dell’opposizione. Ora in Iran tutti sanno che nella società ci sono diversi partiti politici, che sono presenti in parte in Iran e in parte all’estero a causa della loro posizione contro il regime, della repressione e per motivi di sicurezza. Tuttavia una condizione essenziale è che questa opposizione sia costituita all’interno dell’Iran. Oggi questo è uno dei nostri punti di debolezza, ma non dobbiamo esagerare. Se il partito diventa la principale forza di opposizione all’estero, incarica 60-70 persone di lavorare in Iran e gli altri mettono sottosopra l’estero, la gente sentirà parlare del partito, e allora saremo la parte attiva dell’opposizione. Perché verrebbe riportato in uno dei giornali all’interno che Tizio del WPI ha confutato e screditato Farokh Nagahdar[viii] in una riunione; o ci sarebbero cronache sul fatto per esempio che Kahtami è venuto in Europa per incontrare un capo di Stato europeo e il WPI ha organizzato una dimostrazione con 3000 persone per protestare contro questo incontro. I dimostranti si sono riuniti nella tale piazza e hanno lanciato uova contro il suo entourage.

Come possiamo dimostrare che siamo capaci di dirigere? Innanzitutto dobbiamo dimostrare di avere una leadership. La gente deve riconoscere la leadership del partito come leader. Un partito che pubblica comunicati nell’oscurità non può diventare il leader di nessuno. Dopotutto, che sia in una fabbrica, in una città o nella società, le persone seguono le persone. Abbiamo bisogno di manifesti con le foto dei nostri candidati ai consigli rivoluzionari, ai consigli comunali, alla dirigenza dei sindacati, ecc. È ora che i compagni preparino le loro foto migliori che possiamo pubblicare, foto che saranno pubblicate su giornali all’interno. È imprudente dal punto di vista della sicurezza? Ma [occorre considerare che]ci sono nuove condizioni. Durante la rivoluzione del 1979 eravamo tutti pronti ad andare a riunioni pericolose; tutti abbiamo fatto viaggi pericolosi; alcuni compagni hanno effettuato operazioni militari pericolose, hanno combattuto in guerra. Ora siamo nella condizione che dobbiamo pubblicare le nostre foto. È evidente che non vogliamo avere vittime, non siamo pazzi; ma la nostra leadership deve essere accessibile al pubblico.

Loro [i borghesi] affiggono le loro foto sui muri con i loro slogan “evviva … e abbasso …”; in risposta, noi dobbiamo affiggere le nostre foto e i nostri slogan “evviva … e abbasso …” in numeri molto maggiori. Se sentirò che in una città la gente ha gridato: “evviva il compagno X”, sarò contento. Non gli tirerò il tappeto da sotto i piedi. Penso che ovunque si abbia un grado di influenza, la gente dovrebbe dire: “ricordi quella persona? È viva/o ed è il capo di un’organizzazione, membro di un comitato, un attivista di questa tendenza, se vai a Londra la/lo incontrerai”.

[Dovrebbe esserci una situazione in cui i lavoratori pensano che] se loro [il nostro partito] scendono in campo, personalità, leader e individui, figure note della società, che hanno la capacità di andare al potere, prenderanno il potere; il loro aspetto, i discorsi, i tipi politici e sociali [siano conosciuti dai lavoratori]. Queste sono persone reali, non organizzazioni politiche che rilasciano comunicati nascondendosi dietro pseudonimi. I loro nomi sono reali; la persona che sta dietro il nome la si conosce; se ne conosce il comportamento e il carattere. Dopotutto, sulla scena devono apparire persone reali.

Le posizioni del partito devono essere rilevanti e precise; devono rispondere a domande politiche. Quando succede qualcosa, dobbiamo prendere una posizione rilevante per la lotta. Non intendo discutere questo argomento, è la stessa vecchia discussione sulla leadership politica, gli stessi concetti di cui abbiamo parlato.

Infine, dobbiamo essere rapidi. I leader non possono stare indietro e dirigere da dietro. La leadership dev’essere sul fronte della scena. Non siamo abbastanza rapidi.

Voglio concludere il mio intervento parlando di un punto: che immagine di noi stessi dobbiamo dare alla gente? Dobbiamo offrire un’immagine credibile del WPI e portarla dentro le case della gente, nelle fabbriche e nelle strade; l’immagine del programma del partito, la sua politica e le sue posizioni. Che caratteristiche deve avere quest’immagine?

La gente deve vederci come un partito estremamente radicale che ha i piedi per terra; che sa di cosa sta parlando, che non è nelle nuvole; devono pensare che i nostri obiettivi sono radicali, ma siamo pronti a metterli in atto. Dovrebbero dire: “sanno quali problemi comporta il procedere concreto della lotta; sono capaci di parlare delle questioni più complesse; sanno come andare dal punto A a B, ma al tempo stesso dicono sempre che non è il loro unico obiettivo e che vogliono sradicare le vere cause. Sono estremamente radicali, ma è un radicalismo sociale, non settario”. La gente deve pensarci come radicali sociali. Possiamo pensare e scoprire quali azioni rafforzeranno il nostro radicalismo o invece darebbero un’immagine socialmente distaccata di noi; altrimenti ci illudiamo di essere partecipi e impegnati nella società mentre stiamo compromettendo il nostro radicalismo. Dobbiamo essere consapevoli che è il nostro radicalismo che ci conduce verso il potere. La gente dovrebbe dire, con un senso di sollievo, che “se prendono il potere, metteranno fine a certe cose”.

Per esempio, ci dev’essere un governo che decreta che le ragazze devono frequentare la scuola; altrimenti delle famiglie non manderanno le loro figlie a scuola quando un mullah dice loro cosa fare e cosa non fare. Ci dev’essere un governo che fa i conti con un mullah che interferisce. Questo è modernismo estremo sia nel modo di pensare che nel metodo. I metodi di attuazione dei propri obiettivi per una tendenza moderna non possono essere regressivi, poco incisivi o deboli. La gente deve vedere che questo Partito Comunista Operaio è composto di persone che sanno come lavorare con la tecnologia complessa di oggi e con i media; se vogliono condurre una battaglia legale sanno come fare e se vogliono lottare nelle strade ne sono capaci; se vogliono relazionarsi con i sindacati sono in grado di farlo”. [Bisogna essere un partito] che conosce il meccanismo con cui organizzare le organizzazioni di massa e costruire organizzazioni di volontariato sociale. Se attualmente sei un militante in una società che si affida al governo per gestire le tubazioni dell’acqua e vedi il tuo ruolo solo nel chiedere che il governo lo faccia, non hai molte probabilità di diventare un fenomeno così capace.

E infine tutto ciò che ho trattato sono gli elementi del movimento socialista-operaio. Quello che voglio dire è che questi danno un’immagine del Comunismo operaio e di come esso applica il marxismo. Se diciamo alla gente che siamo marxisti, ma non siamo capaci di influire sulla vita delle persone, ciò non ci porterà da nessuna parte. O rispetto alla teoria marxista, il fatto che siamo comunisti non mostra di per sé che siamo una tendenza moderna.

La gente deve capire che la nostra tendenza è estremamente umana; non intende forzare la società in una certa direzione; e non calpesterà nessuno. La sua forza per conquistare il potere è la sua umanità. Come lo possiamo mostrare?

Credo che siamo deboli sotto questo aspetto. È vero che difendiamo l’umanità nei nostri scritti e pubblicazioni; ma la nostra vera relazione con la gente non è posta su questa base. Io la vedo così. Ci comportiamo in un modo per cui la gente si tiene alla larga da noi; mettiamo la gente sotto pressione; siamo troppo duri nei confronti di noi stessi e degli altri. Succede spesso che non rispettiamo i diritti civili o la dignità gli uni degli altri. Questa è una debolezza osservabile dall’esterno. Va bene farlo in un plenum, si direbbe che ci importuniamo a vicenda. Ma visto dall’esterno, non è simpatico. Credo che la nostra base sia la nostra umanità, la nostra civiltà, il rispetto dei diritti delle persone anche quando non sono d’accordo con noi.

Inoltre il nostro rapporto con la gente deve essere basato sulla gentilezza. Ho detto il primo giorno [del congresso] che se il mondo fosse nelle nostre mani ci sarebbe molta felicità. Non la vostra e quella delle vostre famiglie; ma la felicità di quelli che non conoscete; la felicità della gente cui non piacete molto, o che ha avuto delle discussioni con voi; gente che ha diverso colore della pelle, razza o nazionalità e che abbia perfino combattuto un paio di volte contro persone della vostra nazionalità; la felicità della gente. E questo impegno alla felicità, alla prosperità, al benessere e alla sicurezza della vita delle persone dovrebbe essere letto nei nostri occhi, nelle nostre azioni quotidiane: quando partecipiamo a una riunione,organizziamo una riunione, invitiamo qualcuno nella sede del partito, entriamo in polemica politica con qualcuno, quando contattiamo i nostri avversari, in tutte le nostre attività. Questo partito con tutta la sua grandezza non può solo combattere, deve anche aiutare. L’importanza della federazione dei rifugiati è nella sua immagine umana. Se la Federazione si prodigasse solo per aiutare i suoi a venir via dalla Turchia, la sua immagine sarebbe diversa. Lavorare per i diritti dei bambini, indipendentemente da colore, razza e famiglia, è molto importante. Difendiamo il bambino e i suoi diritti. Difendiamo veramente i diritti dei bambini; non utilizziamo questa lotta per altri fini. I diritti dei bambini sono la nostra causa reale.

È anche importante il tipo di linguaggio che usiamo nella nostra stampa periodica.

È responsabilità di tutti noi, non solo del gruppo dirigente, offrire un’immagine umana, gradevole e palpabile del partito. È il nostro compito quotidiano. Dobbiamo essere capaci di arrivare a un punto in cui l’amicizia con un membro del partito incoraggia sentimenti positivi nei confronti di tutto il partito. Potrebbe sembrare una predica morale. Tuttavia un partito scontroso non può andare molto lontano.

Cosa abbiamo detto nel nostro dibattito sullo scenario oscuro[ix]? Abbiamo detto che se viene creato uno scenario oscuro e riusciamo a prendere il controllo di una zona, con tutto il cosiddetto odio che proviamo nei confronti dell’ “imperialismo” e i suoi “burattini”, tutti quelli che vogliono aiutare la popolazione in stato di bisogno, dai “Medici senza frontiere” all’UNICEF potranno contare sul fatto che gli permetteremo di passare. Non prenderemo in ostaggio la vita delle persone; anche se fossimo certi che bombardando un’area residenziale riusciremmo a costringere il nemico alla ritirata, non lo faremmo. Quest’idea deve essere stabilita incontrovertibilmente. Nelle grandi rivoluzioni la gente pensa ai rivoluzionari come persone decenti e oneste, sono gli eroi della società. Se siamo radicali in politica, ma non siamo emotivamente in connessione con la gente, possiamo vincere, ma in ultima analisi non raggiungeremo il nostro fine e il nostro successo svanirà.

Compagni,

in tutti i campi accennati abbiamo fatto determinati progressi, per cui oggi possiamo aspettarci che il partito conquisti peso nel dibattito sul potere politico. La questione del potere politico si riaprirà. Quando parlo del potere politico, non intendo il potere dello Stato nel suo complesso, intendo impegnarci con energia nella lotta per esso. Questo è divenuto una possibilità. Come organizzazione, il partito Comunista Operaio ha raggiunto una posizione in cui il pubblico lo nota. Il WPI ha le persone capaci di avere un impatto concreto. Le posizioni politiche del WPI hanno conquistato una credibilità sufficiente perché la gente desideri offrirgli uno spazio.

Abbiamo alcune debolezze che ho ricordato nella prima giornata e non intendo ripeterle. Dobbiamo superare queste debolezze. Ciononostante possiamo giocare un ruolo nel tener viva questa tradizione. Se non riusciremo a prendere il potere e il partito sarà sconfitto, altri continueranno. Ma la tradizione deve esistere perché possa portare frutti in determinate condizioni. Il nostro obiettivo nel presente e lo scopo costante del nostro movimento è tener vivi questi fini, ideali e idee. Il nostro scopo deve essere quello di far riconoscere il nostro ruolo nella lotta per il potere politico. Dobbiamo almeno rivendicare il nostro ruolo in questo processo. Se qualcuno me lo chiede, rispondo che noi vogliamo seriamente essere in gioco nella lotta per il potere in Iran. La mia conclusione è che i prossimi due anni avranno un ruolo decisivo nel rapporto del partito con il potere.

È possibile che i numeri e i parametri sociali dimostrino che attualmente non siamo in grado di prendere il potere politico nella sua interezza. Non ne sono sicuro. Dipende da quello che ci succederà nel prossimo futuro. Non so con quale energia e forza i bolscevichi affrontarono la rivoluzione di Febbraio. Ma so che essi possedevano queste qualità nella loro leadership, nel loro tessuto e nel rapporto con la classe operaia russa, quindi furono in grado di giocare un ruolo nel momento storico decisivo. Noi non manchiamo di queste qualità. Non sto dicendo che possiamo farcela. Non voglio gonfiare la nostra situazione, né esaltarvi. Voglio dire di giudicare in modo oggettivo. Con un giudizio spassionato, chiunque guardi a noi in questa situazione, si aspetta che giochiamo un ruolo nel futuro politico dell’Iran. Sembra che non ci sia mai stato un partito capace di farlo. I partiti più di sinistra in Iran non sono stati parte di una tendenza sociale nella società, e quelli che lo erano, come il Toudeh, non erano radicali. O comunque non erano comunisti-operai.

Questa è la nostra missione, che dobbiamo cercare di assolvere con consapevolezza, uniti e sulla base di un piano politico condiviso. Dobbiamo concentrarci su di esso e muoverci con la massima efficienza. Mi auguro che lasceremo questo congresso con questo spirito.


-traduzione dall’inglese all’italiano di Roberto Luzzi



[i] Nel linguaggio della sinistra iraniana spesso l’aggettivo “armata” è omesso e viene utilizzato solo il termine “insurrezione”. Per questo nella presente traduzione quando con insurrezione si intende insurrezione armata, il termine “armata” è aggiunto tra parentesi quadre.

[ii] Un oppositore iraniano che vive in Germania

[iii] Una rivista iraniana pubblicata a Londra

[iv] Al tempo del discorso il presidente del regime islamico era Kahtami, un cosiddetto riformista. Egli diceva di voler promuovere la società civile, un concetto divenuto di moda negli anni ’90. Di conseguenza questo concetto fu molto discusso in quegli ambiti dell’opposizione che lo sostenevano e promuovevano l’idea della riforma del regime islamico. Il WPI chiamò quest’ala dell’opposizione “pro-regime”.

[v] Sanandaj è la capitale della provincia del Kurdistan iraniano. Il Comunismo operaio è stato alquanto forte in questa città. Qui Mansoor Hekmat si riferisce alle manifestazioni del Primo Maggio e alle attività degli anni ’80 a Sanandaj, quando egli faceva parte della leadership del Partito Comunista d’Iran.

[vi] Raah e Kaargar, il Sentiero dei lavoratori, è un’organizzazione di sinistra.

[vii] Velayat-e faqih (Persiano: ولایت فقیه, velayat-e faqih), anche noto come Governo Islamico è un libro scritto dal religioso musulmano iraniano Ayatollah Ruhollah Khomeini, pubblicato per la prima volta nel 1970. Il libro sostiene che il governo dovrebbe essere condotto secondo la legge islamica tradizionale (sharia), e perché ciò avvenga un giurista islamico con forte ascendente (faqih) deve provvedere alla “vigilanza” politica (wilayat o velayat) sul popolo e la nazione. Il regime islamico ha cercato di imporre questa struttura in Iran dopo la sconfitta della rivoluzione del 1979.

[viii] Farokh Negahdar è uno dei leader della Maggioranza Fedayin che ha collaborato apertamente con il regime e continua a sostenerlo fortemente.

[ix] Nell’aprile 1995 Mansoor Hekmat parlò in un seminario di partito sul pericolo di quello che chiamò “scenario oscuro” in Iran. Si riferiva alla situazione in aree del mondo in cui i massacri e la distruzione delle case e delle condizioni di vita della popolazione sono diventati una realtà di fatto; uno scenario oscuro era stato inflitto a Ruanda, Somalia, Yugoslavia, Afghanistan, Cecenia, ecc. Nel giugno dello stesso anno egli scrisse un articolo dal titolo “Lo scenario oscuro, lo scenario bianco; un dibattito sugli sviluppi della situazione politica in Iran”. “… la caratteristica principale di uno scenario oscuro è la disperazione, l’incapacità della gente di capire perché ha avuto luogo questa situazione, per quanto tempo continuerà e quando potrà finire. […] Nessuno sviluppo storico è progredito senza sofferenze. Tuttavia uso questo termine per descrivere una situazione che non riguarda lo sviluppo della società, ma la distruzione del tessuto civile della società, contro la volontà della gente e in un contesto di frustrazione e disperazione della gente”. Egli ammoniva contro la possibilità che uno scenario oscuro avrebbe potuto verificarsi in Iran e fece appello al WPI perché si preparasse a una tale situazione. Fece proposte per prevenire il verificarsi di una tale situazione o per affrontarla nel caso si verificasse.

[1] Una spiegazione della traduttrice (dal persiano all’inglese)

È necessario osservare quanto segue. Occorre considerare che questo testo è un discorso dato in un congresso di partito chiuso al pubblico, diretto ai quadri del partito, e non un articolo teorico sull’argomento. Mansoor Hekmat in seguito elaborò e spiegò questo argomento in un plenum del partito sotto il titolo “Partito e società”. Di conseguenza il testo può non includere argomentazioni teoriche dettagliate.

Occorre anche citare il fatto che all’epoca Mansoor Hekmat rifiutò di pubblicare la trascrizione. Scrisse invece un breve articolo su partito e il potere politico e su partito e società nella rivista del partito per introdurre questo tema. Il motivo per cui non pubblicò la trascrizione di questo discorso mentre era in vita, è che se avesse scritto un articolo, avrebbe senza dubbio sostenuto le sue tesi con argomentazioni teoriche più approfondite.

Ci fu un altro caso in cui egli rifiutò la pubblicazione della trascrizione di un’intervista radiofonica. L’intervista verteva sulla questione della donna. Quando io, in quanto redattrice di Medusa (il giornale del circolo su donna e socialismo) e autrice di questa intervista gli chiesi l’autorizzazione a pubblicare la trascrizione sulla rivista Medusa, non diede l’autorizzazione. Rispose che se avesse inteso scrivere sulla questione femminile, avrebbe scritto diversamente e in modo più teorico che in una breve intervista alla radio. Tuttavia dopo la sua morte gran parte delle sue interviste e dei suoi discorsi sono stati trascritti.

Ciò premesso, va detto che questo discorso è un contributo importante al dibattito marxista su comunismo e potere politico. Specialmente da un punto di vista strategico e prativo questo discorso è innovatore dato che riguarda la tradizione della sinistra comunista rispetto al potere politico dopo la Rivoluzione d’Ottobre. Per questo ho deciso di tradurlo. Ma per far giustizia a Mansoor Hekmat e al suo rispetto per il lavoro teorico e il marxismo, ritengo che questa nota sia essenziale.

[2] La presente traduzione in italiano è stata effettuata sulla base della traduzione inglese, con alcuni riscontri dal testo in persiano.

[3] Si mantiene qui l’abbreviazione del nome in inglese del Partito Comunista Operaio d’Iran (Worker-communist Party of Iran)


Traduzione di Roberto Luzzi
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